Il capolavoro di Belli

La produzione in romanesco di Giuseppe Gioachino Belli è tutta racchiusa in un felice ventennio (1830-49 circa) ed è costituita da ben 2279 sonetti, tutti pubblicati postumi. 
Questo capolavoro belliano è  una delle conquiste più alte del linguaggio romantico. 

L'uomo Giuseppe Gioachino Belli. Nervoso, iracondo, sempre in cerca d'impieghi che successivamente abbandonava, preoccupato spesso di questioni economiche, negli ultimi tempi addirittura misantropo, bigotto, censore teatrale pedante, spaventato dagli eventi del 1848-49, intransigente sostenitore di quel governo pontificio di cui pur aveva nei suoi sonetti così lucidamente scrutato le magagne: il Belli uomo sembra essere in singolare contrasto con il poeta. 
Questi si propose esplicitamente intenti documentari: e in effetti l'opera di lui può anche servire come importante documento dell'indole e delle condizioni morali, politiche, sociali del popolo di Roma in quegli anni. 

Significato dei Sonetti.  Storicamente, insieme con quella di C. Porta, che non fu senza influsso sul Belli, l'opera del Belli è la più importante tappa italiana del realismo romantico dopo la manzoniana e prima di quella più propriamente veristica del secondo Ottocento; uno sforzo poderoso e coerente di tenere i piedi sulla terra per opporsi ai modi arcadici puramente eleganti senza cadere nelle approssimazioni, nelle nebulosità, nelle gratuite fantasticherie di molti romantici italiani. 
Poeticamente, è una rappresentazione omogenea, pur articolata in mille figure e scene, di un amore scontroso per una città - monumenti e popolino, memorie e usanze d'ogni giorno - e di una visione triste della società e della vita in genere: l'una e l'altra sempre romanticamente concepite come nemiche effettive o potenziali, da subire con rassegnazione piena di amara pietà per sé stessi o da affrontare nell'inclemente satira con spregiudicatezza demolitrice. (Tratto da Treccani.it)